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  • Quante donne in Italia soffrono di depressione in gravidanza e nel puerperio?
    Nei Paesi occidentali, inclusa l’Italia, dal 10% al 15% delle donne in gravidanza manifesta disturbi depressivi (depressione ante partum o gestazionale). La depressione può insorgere per la prima volta in gravidanza o può riacutizzarsi in chi ne ha già (depressioni ricorrenti. L’incidenza della depressione che si manifesta nel post partum (depressione puerperale) è leggermente maggiore, dal 12% al 18%, manifestandosi più di frequente nei primi 6 mesi dopo il parto. Il 45% delle donne che hanno manifestato una depressione post partum ha sofferto di sintomi depressivi, spesso non identificati o sottovalutati in corso di gravidanza. La frequenza di suicidi nel perinatale varia dal 5% al 10%; quella delle idee suicidarie è ancora più elevata, dal 7% al 16%.
  • La gravidanza e il puerperio sono periodi a rischio per chi che ha sofferto di disturbi depressivi o ansioso-depressivi?
    Il periodo perinatale, caratterizzato da importanti cambiamenti fisici, biologici, ormonali ma anche psicologici e sociali, è considerato un periodo a rischio per le donne in gravidanza e nel post partum che hanno sofferto di disturbi depressivi. La gestazione e il puerperio sono considerati periodo di rischio anche per l’insorgenza o la riacutizzazione di disturbi dell’umore (disturbo bipolare, ciclotimia) e/o di disturbi d’ansia (ansia generalizzata, attacchi di panico), spesso associati a disturbi ansiosi (sindromi ansioso-depressive). La sospensione di terapie farmacologiche di mantenimento per disturbi dell’umore o disturbi d’ansia prima di avviare una gravidanza è una che deve essere sempre valutata con molta cautela per il rischio elevato di provocare una precoce riacutizzazione di tali disturbi.
  • Cosa si intende per maternity blues o baby blues?
    La depressione che insorge nel post partum non deve essere confusa con il cosiddetto maternity blues o baby blues che si manifesta nel 70% delle puerpere. I sintomi di questa alterazione dell’umore insorgono nei primi giorni dopo il parto e sono rappresentati da labilità emotiva con facile tendenza al pianto accompagnato da modesto calo dell’umore, spesso associato a stati d’ansia e disturbi del sonno. Questa condizione emotiva non è considerata patologica e pertanto non necessità di un trattamento farmacologico; molto spesso un supporto psicologico da parte dei familiari e/o del partner può essere risolutivo. Il decorso ha quasi sempre un’evoluzione benigna ed in genere i sintomi tendono a scomparire spontaneamente entro un paio di settimane. Si tratta di un calo dell’umore che tuttavia non deve essere sottovalutato solo nel caso persista e si aggravi nel tempo. In alcune puerpere potrebbe evolvere in una sindrome depressiva clinicamente rilevante (depressione maggiore) e necessitare di un intervento di tipo psicoterapico e/o psicofarmacologico.
  • Che cosa si intende per psicosi puerperale?
    La psicosi puerperale (psicosi post partum) è una grave condizione psicotica che necessita dell’ospedalizzazione della neomamma, l’allontanamento temporaneo del neonato per il rischio di infanticidio ed un tempestivo trattamento farmacologico che preveda l’uso di farmaci antipsicotici. In questo disturbo il neonato è vissuto dalla neomamma come un essere estraneo ed ostile e non riconosciuto come il proprio figlio. Le tematiche deliranti, i disturbi del comportamento, le brusche oscillazioni dell’umore (depressione ed eccitamento), la presenza di sintomi allucinatori e stati confusionali sono le caratteristiche psicopatologiche di questa psicosi. Anche il rischio di suicidio è elevato. La psicosi puerperale è considerata una vera emergenza psichiatrica ad insorgenza precoce poiché è stata riportata di frequente nelle prime 4-5 settimane dal parto, con un’incidenza stimata di 2-3 puerpere su 1000 nascite.
  • Quali sono i fattori di rischio implicati nell’insorgenza della depressione maggiore?
    La depressione è una malattia che comporta disabilità non solo psicologiche e comportamentali ma anche organiche, esponendo una persona al rischio di sviluppare malattie fisiche, in particolare cardiovascolari (infarto e ipertensione) ed endocrine (diabete, ipotiroidismo). L’insorgenza di un episodio depressivo è il risultato della combinazione di diversi elementi di rischio, come una condizione di stress grave e persistente, l’abuso di sostanze e di alcol, una malattia organica concomitante ed una “vulnerabilità” genetica individuale (familiarità per disturbi dell’umore). Lo stress, qualunque siano le cause che lo determinano, è tra i fattori di rischio più studiati per spiegare l’insorgenza di un disturbo depressivo come di altri disturbi psichici, oltre che di malattie non necessariamente di competenza psichiatrica. Lo stress, che rappresenta una fisiologica risposta dell’organismo a condizioni di sofferenza, minaccia, paura, genera un’attivazione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene inducendo un aumento della produzione e liberazione di cortisolo dal surrene. L’aumento della cortisolemia, se eccessivo e protratto nel tempo, può innescare a livello di specifiche strutture cerebrali (ippocampo, amigdala, corteccia prefrontale) meccanismi di tossicità che interferiscono con la neurotrasmissione, comportando una riduzione della plasticità neuronale e alterazioni del trofismo cellulare. Nei pazienti con depressione sono state evidenziate alterazioni del sistema immunitario e un’attivazione dei processi infiammatori (elevati livelli ematici di citochine pro-infiammatorie e proteina C reattiva) che si normalizzano dopo un trattamento con antidepressivi. La depressione determina anche un’alterazione di diversi fattori neurotrofici o neurotrofine, (come il BDNF - brain derived neurotrophic factor), proteine che rivestono un ruolo fondamentale nella neurogenesi, cioè nel mantenimento della struttura e della buona funzionalità dei neuroni. Gli AD, stimolando i meccanismi di neurogenesi, favoriscono pertanto il ripristino e il mantenimento della funzionalità neuronale compromessa.
  • Quali rischi può comportare un disturbo depressivo non trattato in gravidanza?
    Una condizione depressiva, soprattutto se di notevole rilevanza clinica (depressione maggiore), non curata adeguatamente può comportare una serie di rischi per la gravida, il decorso della gestazione, lo sviluppo del feto e la salute del neonato anche a lungo termine. Rischi per la gravida: scarsa adesione ai controlli e consigli medici, alimentazione inadeguata, fumo, uso di alcolici/sostanze illecite, disturbi del sonno, elevati livelli di cortisolemia durante la gestazione; rischio di adottare comportamenti autolesivi e di suicidio. Rischi per la gestazione: aborto spontaneo, parto pretermine, preeclampsia, distacco placentare, ricorso a parto cesareo. Rischi per il neonato: basso peso alla nascita, basso indice di Apgar, elevati livelli di cortisolemia neonatale fino a 12 mesi dopo la nascita, compromissione del processo di attaccamento materno-fetale e rischio di disturbi del neurosviluppo nell’adolescente, quali l’ADHD (Attention Deficit Hyperactive Disorders) e l’ASD (Autism Spectrum Disorders), per i quali tuttavia si ipotizza una eziopatogenesi più complessa e di tipo multifattoriale.
  • Quali sono i farmaci che si utilizzano per la cura della depressione in gravidanza?
    Il trattamento farmacologico della depressione maggiore prevede l’uso di antidepressivi (AD). Tra gli AD sono considerati più sicuri in gravidanza gli SRI (Serotonine Reuptake Inhibitors). Questa classe comprende gli SSRI (Selective Serotonine Reuptake Inhibitors) e gli SNRI (Serotonin-Noradrenaline Reuptake Inhibitors). Tra gli SRI, i farmaci con una maggiore casistica e dati molto più affidabili sulla sicurezza fetale, gestazionale e neonatale sono rappresentati da i seguenti AD Sertralina, Fluoxetina, Paroxetina, Citalopram, Escitalopram e Venlafaxina. Per questi AD è stato dimostrato che l’incidenza di malformazioni congenite è nell’ambito di quella della popolazione generale (3%-5%) e risulta indipendente dal dosaggio terapeutico impiegato in corso di gravidanza. Per altri AD appartenenti a classi diverse: come Clomipramina, Trazodone, Agomelatina, Mirtazapina, Mianserina o di più recente introduzione come Vortioxetina, non sono disponibili tuttora informazioni sufficienti per poterne garantire la sicurezza fetale e gestazionale.
  • Quanto deve durare un trattamento con farmaci antidepressivi?
    La risoluzione di un episodio depressivo (fase acuta) necessita di un periodo di trattamento farmacologico variabile da 4 a 6 settimane, sebbene in alcuni casi la risposta possa avvenire in tempi più brevi o più prolungati. Il dosaggio terapeutico deve essere stabilito nelle fasi iniziali della terapia (prime 2 settimane) e sempre individualizzato nel singolo paziente all’interno del range terapeutico stabilito per ciascun antidepressivo (AD). Dopo la risoluzione della fase acuta è sempre necessario prevedere una fase di proseguimento del trattamento (fase di mantenimento) della durata di 6-8 mesi. Nei pazienti che hanno manifestato nella loro storia più riacutizzazioni di un episodio depressivo alla sospensione del trattamento (depressioni ricorrenti), il mantenimento dovrebbe essere più prolungato. Non sono rari i casi in cui un trattamento con AD possa essere anche mantenuto per diversi anni. In ogni caso la durata della fase di mantenimento va sempre concordata e discussa con il paziente facendo riferimento ai suoi dati anamnestici. Gli AD considerati di prima scelta (SRI) non sono considerati a rischio di indurre, anche dopo uso prolungato, fenomeni di tolleranza e/o abuso né di causare patologie a carico dei diversi organi. Sono ben noti nella pratica clinica casi di pazienti che dopo diverse sospensioni della terapia e successive riacutizzazioni hanno optato per trattamenti a lungo termine.
  • Quali altri psicofarmaci possono essere necessari per la cura della depressione in gravidanza e nel post partum?
    Nella terapia della depressione può essere necessario associare all’AD altri psicofarmaci che appartengono a classi diverse. Antipsicotici, Ansiolitici-Ipnotici e Stabilizzatori dell’Umore possono rendersi necessari secondo le caratteristiche cliniche e la gravità dell’episodio depressivo da curare. Nel caso nelle depressioni con una forte componente ansiosa (sindromi ansioso-depressive) può essere utile un trattamento a breve termine con un ansiolitico e/o un ipnotico, nelle depressioni che si manifestano nel corso del disturbo bipolare (depressioni bipolari) è necessario associare uno stabilizzatore dell’umore, in quelle in cui coesistono sintomi psicotici (depressioni deliranti o con sintomi psicotici è necessario l’uso di antipsicotici. In ciascuna delle suddette classi di psicofarmaci sono disponibili farmaci considerati compatibili sia in gravidanza che nell’allattamento al seno.
  • Quale strategia terapeutica impiegare nelle depressioni resistenti alla terapia?
    La “resistenza” al trattamento di un episodio depressivo viene definita come la mancata risposta del paziente a due successivi trattamenti con antidepressivi (AD) di provata efficacia, impiegati a dosaggi terapeutici e per un periodo di tempo di 6 settimane. Si stima che dal 25% al 30% dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore sia considerato “resistente” ad un primo trattamento con AD. Le ragioni che possono determinare la mancata o insoddisfacente riposta al trattamento sono per lo più sconosciute o solo ipotizzate. Spesso la mancata risposta nella pratica clinica potrebbe anche dipendere dall’uso inadeguato del trattamento prescritto, come nel caso di farmaci di non ben documentata efficacia, dosaggi inadeguati, scarsa tollerabilità al farmaco, scarsa compliance dello stesso paziente. In questi casi si dovrebbe parlare di “pseudo-resistenza”. Nei casi di resistenza ben documentata al trattamento sono da tempo impiegate alcune strategie terapeutiche. Quelle più comunemente impiegate sono: a) l’aggiunta all’AD di litio carbonato o di un antipsicotico di 2° generazione (augmentation) e b) l’associazione tra due AD con profili farmacologici diversi (combination). Sebbene le strategie adottate siano risultate efficaci in molti casi, circa il 10% di pazienti depressi mostra anche dopo trattamenti psicoterapici una risposta clinica poco soddisfacente e la cronicizzazione del disturbo. Anche per altri disturbi psichiatrici (es. disturbo bipolare, disturbi psicotici), come per altre gravi malattie organiche, non sempre la risposta ai farmaci può essere risolutiva. La resistenza alla terapia farmacologica in donne con disturbi depressivi è documentata anche nel periodo perinatale, dove le strategie farmacologiche da mettere in campo necessitano di maggiore cautela e competenza in psicofarmacoterapia perinatale.
  • Quali sono i dati su efficacia e sicurezza di Esketamina nella depressione resistente agli AD?
    Di recente è stata proposta nella depressione resistente (DR) l’Esketamina (ESK), un farmaco con un meccanismo d’azione diverso dagli AD finora utilizzati, che deriva dalla Ketamina, un farmaco anestetico per uso veterinario successivamente utilizzato anche nell’uomo con non pochi effetti indesiderati. L’introduzione di ESK sul mercato farmaceutico da parte di una prestigiosa Industria Farmaceutica, tra le più innovative nel campo della ricerca psicofarmacologica, è stata accolta con entusiasmo sia negli USA che in Europa, dove è stata approvata dall’EMA e successivamente in Italia dall’AIFA. Gli studi clinici pubblicati a livello internazionale, peraltro finanziati e condotti anche da ricercatori della casa produttrice, non documentano tuttavia risultati tali da suscitare facili entusiasmi, soprattutto per l’applicabilità di questo trattamento nella pratica di routine. Il suo meccanismo d'azione della ESK a livello del sistema nervoso centrale (SNC) non è tuttora completamente chiaro, ma si ritiene che essa agisca bloccando specifici recettori (NMDA) del glutammato, un neurotrasmettitore presente nel cervello, favorendone un rapido aumento dei suoi livelli. ESK (nome commerciale Pravato) deve essere somministrata attraverso assunzioni per spray nasale in una struttura ospedaliera dotata di attrezzature per la rianimazione con personale medico istruito nell'applicazione del trattamento. È prevista, dopo una prima fase di somministrazione (induzione), un trattamento di mantenimento per 6 mesi, da effettuare con regolare monitoraggio clinico-ospedaliero del paziente. La somministrazione deve avvenire sempre in associazione ad un AD appartenente alla classe degli SSRI o SNRI. I dati disponibili finora suggeriscono comunque una certa cautela nella valutazione complessiva di questa terapia soprattutto per quanto riguarda l’efficacia sull’ideazione suicidaria e altri gravi sintomi depressivi e la tollerabilità a lungo termine. Sono stati riportati nei pazienti trattati fenomeni di abuso ed effetti indesiderati sia a carico del SNC (es. cefalea, vertigini, stati dissociativi, allucinazioni, disturbi cognitivi, irritabilità o sedazione, tremori) che cardiorespiratori (es. ipertensione, tachicardia, dolore orofaringeo, irritazione della mucosa nasale); più raramente anche nistagmo, depressione respiratoria, scialorrea, ipotensione arteriosa. Non sono disponibili dati sull'uso di ESK in gravidanza. Studi negli animali da esperimento hanno mostrato che preparazioni contenenti miscele di ESK e alte molecole simili potrebbero indurre neurotossicità nei feti in via di sviluppo. Dati disponibili soltanto in animali hanno anche documentato che ESK viene escreta in quantità significative nel latte. Per la mancanza di informazioni l’allattamento al seno è controindicato nelle donne con depressione resistente che si sottopongono a questo trattamento durante il puerperio.
  • Quali psicofarmaci sono considerati compatibili con l’allattamento al seno?
    La compatibilità di un farmaco nell’allattamento al seno è stabilita attraverso due indici internazionali rappresentati dalla: Relative Infant Dose (RID) e Milk-to-Plasma Ratio (M/P). SI ritiene che valori di RID inferiori al 10% o di M/P inferiori ad 1 siano indicativi di farmaci che passano in quantità minime nel latte materno garantendo un buon margine di sicurezza nel corso dell’allattamento al seno. Tra gli Antidepressivi, sono considerati sicuri nell’allattamento al seno: Paroxetina, Sertralina, Escitalopram, farmaci appartenenti alla classe degli SSRI. Tra gli Ansiolitici-Ipnotici sono considerati di scelta nell’allattamento al seno: Lorazepam, Oxazepam, Lormetazepam, farmaci appartenenti alla classe delle Benzodiazepine e Zolpidem un ipnotico non-benzodiazepinico appartenente alla classe delle Z-drugs. Tra gli Antipsicotici, sono oggi considerati di prima scelta Olanzapina e Quetiapina, farmaci appartenenti agli antipsicotici di 2°generazione. Tra gli Stabilizzatori dell’umore è considerato di prima scelta il Sodio Valproato mentre non è consigliato l’uso di litio carbonato o solfato; per la Lamotrigina, sebbene non esista una specifica controindicazione è consigliato un monitoraggio clinico del neonato in caso di allattamento al seno. Informazioni aggiornate sulla compatibilità dei diversi farmaci, inclusi gli psicofarmaci, sono da tempo reperibili sul sito statunitense reso disponibile dal National Institute of Health, Drugs and Lactation Database LactMed.
  • Quali sono le informazioni sulla sicurezza in gravidanza e allattamento del Daridorexant, un nuovo farmaco per i disturbi del sonno?
    Il Daridorexant (DRD) è un farmaco che agisce sul cervello riducendo l’attività dell’Orexina (ORX), un neuropeptide prodotto dall’ipotalamo e considerato un regolatore dello stato di veglia. Alcune evidenze dimostrano che i livelli di ORX sono alterati in varie condizioni patologiche associate a disturbi nel sonno, come la narcolessia , la depressione e i disturbi d’ansia. L’efficacia di DRD nel ridurre i tempi dell’addormentamento ed i risvegli notturni è stata documentata sia nell’adulto che nell’anziano. Sono stati riportati nei pazienti trattati casi di naso-faringite e cefalea. La sua sicurezza in corso di gravidanza resta tuttavia da valutare, mentre evidenze preliminari suggeriscono una buona compatibilità con l’allattamento al seno; la Relative Infant Dose (RID) è 0.25%. Questo farmaco è stato di recente approvato dalla FDA negli USA e dall’EMA in Europa.
  • Quali sono i dati su efficacia e tollerabilità dello Zuranolone nella depressione post partum?
    Nella depressione post partum è stato da tempo proposto un trattamento ormonale a base di metaboliti del progesterone, in particolare costituiti da steroidi neuro-attivi. Il loro impiego nel post partum parte dal presupposto che in questo periodo si verifichino notevoli e brusche oscillazioni del progesterone e dei suoi metaboliti, in particolare dell’Allopregnanolone (ALP), che indurrebbe nella puerpera uno squilibrio ormonale con conseguenti disturbi depressivi. Uno dei derivati sintetici dal progesterone ad essere approvato per la prima volta (2019) negli USA per la depressione post partum è stato il Brexanolone (BRX), che si dimostrò poco maneggevole per l’insorgenza di alcuni effetti indesiderati (sedazione eccessiva e perdita di coscienza) oltre che per non essere compatibile con l’allattamento al seno. Più di recente (2023) negli USA, è stato approvato per il trattamento della depressione post partum lo Zuranolone (ZRN), un farmaco derivato sintetico dell’ALP da somministrare in dose unica orale. Sebbene meglio tollerato rispetto al suo predecessore e compatibile con l’allattamento al seno anche per lo ZRN l’efficacia come antidepressivo si è dimostrata modesta (60% di pazienti migliorati dopo il trattamento), se confrontata con quella (75-80%) degli AD-SSRI. Gli effetti collaterali più di frequente riportati includono sedazione, vertigini, cefalea, nausea e diarrea.
  • Quali sono i dati su efficacia e sicurezza dei prodotti naturali nella depressione in gravidanza e allattamento al seno?
    Non sono disponibili studi che documentino attraverso sperimentazioni cliniche controllate (RCT), l’efficacia terapeutica di prodotti “naturali”, cioè a base di erbe, nel trattamento della depressione maggiore. Pertanto, le preparazioni contenenti iperico, passiflora, griffonia, valeriana, melissa e altre miscele a base di erbe non dovrebbero essere utilizzate per la cura di depressioni clinicamente rilevanti. Sarebbe auspicabile peraltro che l’uso di questi prodotti (acquistabili senza ricetta medica e non rimborsabili dal SSN)) fosse regolamentato da una legislazione simile a quella riservata ai farmaci tradizionali. La loro sicurezza sullo sviluppo fetale e sul decorso della gestazione resta tuttora da valutare visto che tali preparazioni non sono scevre da effetti indesiderati. L’uso di preparazioni a base di Iperico (erba di San Giovanni), molto diffuso anche nel nostro Paese può determinare l’insorgenza di effetti indesiderati, quali disturbi gastrici, vertigini e reazioni cutanee da foto-sensibilizzazione, oltre che un rischio di interazione con altri farmaci, per l’attività di induzione enzimatica dei suoi principi attivi (iperforina e ipericina), che causa la perdita dell’efficacia di farmaci presi in associazione. Poiché l’iperico interferisce con la pillola anticoncezionale, riducendone l’effetto, si consiglia alle donne che lo assumono di adottare tutte le precauzioni necessarie per evitare gravidanze indesiderate nel corso di trattamenti anticoncezionali. Considerando la scarsa consistenza di dati su efficacia e sicurezza dei prodotti a base di erbe in gravidanza e allattamento al seno, il loro utilizzo nel periodo perinatale è decisamente ingiustificato oltre che rischioso.
  • Quali sono le informazioni sull’uso della melatonina in gravidanza e allattamento?
    La Melatonina (MLT) è un ormone secreto dall'epifisi, prodotto in condizioni di buio per regolarizzare il ciclo sonno/veglia. Quella presente nelle preparazioni commerciali è un ormone di sintesi proposto per la cura di insonnie di modesta entità e per regolarizzare i disturbi del ritmo sonno-veglia nella sindrome da Jet-lag La MLT è stata proposta anche nella “sindrome del turnista”, un disturbo del sonno che spesso affligge le persone che cambiano spesso il loro orario di lavoro o che lavorano a lungo nei turni di notte. Il suo utilizzo nell’insonnia di donne con disturbi depressivi e/o disturbi d’ansia in gravidanza non risulta supportata da studi che ne garantiscano sia l’efficacia terapeutica che la sicurezza fetale. Nel caso di disturbi del sonno nel post partum, poiché la melatonina è un componente naturale del latte materno, non ci sono ragioni di incrementarne la quantità attraverso un’ulteriore somministrazione. Nel caso di insonnia durante il puerperio è sempre preferibile utilizzare, per brevi periodi di tempo armaci ipnoinducenti ad eliminazione rapida che non passano nel latte materno come Lormetazepam, Lorazepam, Zolpidem o nuovi ipnoinducenti come il Daridorexant.
  • Quale psicoterapia è consigliabile nella depressione in gravidanza e nel post partum?
    Nelle donne che soffrono di disturbi depressivi o ansioso-depressivi in gravidanza e nel post partum è generalmente consigliata tra le diverse strategie di trattamento psicologico la psicoterapia cognitiva-comportamentale. Questa strategia psicoterapica è risultata efficace nelle depressioni di lieve-moderata entità ed è tra le più utilizzate e studiate nel periodo perinatale. Nei casi di depressione che riveste particolare gravità clinica è consigliabile un trattamento integrato tra farmacoterapia e psicoterapia. Nelle donne con disturbi depressivi è consigliabile durante l’intero periodo perinatale un supporto psicoterapico regolare. Un trattamento psicoterapico è consigliato anche nei casi di disturbo post traumatico da stress legato al parto, un disturbo che può svilupparsi a seguito di un'esperienza traumatica del parto. L’esperienza del parto può essere spesso una condizione abbastanza stressante se associata ad eventi traumatici, come un travaglio di parto molto difficoltoso, complicazioni legate alla salute della madre o del neonato, oppure ad una condizione di forte emotività come la paura del dolore fisico del parto (tocofobia).
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